di Simon Larocca
05/08/2024
Nintendo, da sempre, crea leggende.
Saghe immortali e che perdurano ancora oggi, forti dei propri mondi in continua espansione e un battage pubblicitario, bisogna dirlo, mai domo, coraggiosi e battaglieri esattamente come gli eroi dell'epica mitologica che abbiamo studiato a scuola.
Perché questo riferimento, vi starete chiedendo.
Perché esiste una serie di giochi, arrivata in Occidente colpevolmente tardi, che come nessun'altra ha saputo incarnare l'epicità delle battaglie e delle motivazioni vergate dalla penna di Omero, pur non snaturando mai la visione totalizzante e suggestiva del Giappone, con i suoi dettami, il senso dell'onore, della patria e perché no, della famiglia.
Fire Emblem. Un titolo magnifico che, nell'atto stesso di pronunciare queste due semplici parole, trasmette l'ideale di forza ed eredità, di una storia che continua e ed evolve tratteggiando un filo rosso che collega il passato al presente.
In breve, si tratta di un RPG Strategico, che a differenza dei vari Final Fantasy, Dragon Quest e la serie Xenoblade, basa il proprio gameplay su un approccio più ragionato alle battaglie. Niente Time Battle Bar, dunque, né duelli frenetici all'insegna della pressione forsennata dei tasti del joypad, bensì tattica, gestione risorse e gruppi eterogenei di soldati da muovere a seconda dell'obiettivo da raggiungere.
Fire Emblem mette in campo il meglio del genere fantasy e lo fa con un design memorabile (curato anche da Sachiko Wada tra l'altro, artista di una certa caratura), che riflette archetipi dell'epica omerica ed eroica. Ne citiamo uno come esempio per tutti: Marth, l'eroe per antonomasia che risponde alla Chiamata, un personaggio che non sceglie quindi di combattere per se stesso o per i suoi fini, ma che impugna la Falchion, arma leggendaria e iconica in Fire Emblem, per salvare le persone che ama e il suo popolo, vessato da tiranniche violenze senza fine.
Ce n'è abbastanza per riempire tomi con miti e storie da raccontare intorno al fuoco, vero? Ma chi c'è dietro una leggenda di tali proporzioni?
Potrei rispondervi con la scuderia di programmatori che lavorava per Intelligent Systems, azienda che praticamente fungeva da braccio destro per la Nintendo, operando dietro le quinte apparentemente, ma di fatto è a loro che dobbiamo Super Metroid per SNES, o più recentemente Paper Mario. Eppure, ci fu qualcuno che con la sua visione cambiò tutto, la persona che ebbe l'Idea, la scintilla creativa necessaria per plasmare Fire Emblem e i suoi mondi.
Parlo ovviamente di Shòzò Kaza.
Kaza diede alla luce infatti il capostipite delle serie, quel Fire Emblem: Shadow Dragon and the Blade of Light uscito per NES e che Switch ha riesumato dal passato per la gioia di chi non mastica la lingua del Sol Levante.
A oggi, tra capitoli principali e spin off, Fire Emblem vanta quasi una ventina di titoli, delineando un mondo fantasy con derivazioni da altri sottogeneri, dominato da creature alate, mostri feroci e negromanti assuefatti al potere, non solo spirituale.
Il villain del primo gioco, infatti, altri non è che un usurpatore del trono di Akaneia (dove sono ambientati la maggior parte, ma non tutti, i giochi della serie) e da videogiocatore di lungo corso, ricordo che già negli Anni Novanta la sua caratterizzazione, così come quella del party che avremmo costruito durante la campagna, era davvero notevole.
Ciò che rende grande Fire Emblem, difatti, è la cura maniacale per la sceneggiatura, la resa scenica, grafica e strutturale, quasi sembra volersi mettere da parte per lasciare spazio alla grandiosità della storia epica, che si dipana attraverso capitoli sempre più intensi emotivamente parlando, regalandoci cut scene e intermezzi che ci terranno con il fiato sospeso.
Le motivazioni alla base che tennero lontano dall'occidente questa saga fino ai primi anni del 2000 sono varie, e vanno ricercate nella complessa localizzazione e nell'approccio molto particolare che Fire Emblem, come avete potuto leggere nelle righe precedenti, dedicava al world building e la 'filosofia' ibrida che attraversava ogni scenario e capitolo di gioco.
Aspetti, questi, che forse Nintendo riteneva un po' troppo ostici per il mercato al di là dei confini giapponesi, tuttavia qualcuno a Kyoto riuscì a essere lungimirante, perché su Game Boy Advance prima, con Fire Emblem e Fire Emblem: The Sacred Stones, e poi su GameCube e Wii poi, donandoci Path of Radiance e Radiant Dawn, approdarono finalmente i seguiti dei giochi usciti esclusivamente in Giappone.
E le cose cambiarono. In meglio. Per i fan, certo, ma anche e soprattutto per Nintendo.
Con la sua meccanica di gioco e il sistema di battaglie semplice da imparare, ma articolato e profondo, Fire Emblem riempì il vuoto che mancava ai possessori delle console sopracitate, che si trastullavano con Advance Wars, altro titolo da non dimenticare, ma che volevano un gioco divertente e che sapesse tessere trame narrative mature, in grado di appassionare durante le ore di battaglie tra foreste, caverne e castelli da riconquistare.
Il programmatore capo che rivitalizzò in un certo senso la serie, svecchiandola senza però snaturarla nel trapasso dal vecchio millennio a quello nuovo, fu Toshiyuki Kusakihara, art director della Intelligent Systems ovviamente, responsabile degli ultimi capitoli Echoes e Three House, usciti per la console ibrida Switch.
Kusakihara raccolse l'eredità spirituale nel 2008 con Fire Emblem: Awakening, collaborando con il responsabile della grande N Masahiro Higuchi, uno che di strategie di marketing e visioni ampie e d'insieme ne sa parecchio.
Awakening garantisce ore di gioco all'insegna della mitologia e un occhio di riguardo all'aspetto cavalleresco, elemento questo che ricorre da sempre fin dagli albori della serie: medioevo e classicità per i giapponesi vanno a braccetto a quanto pare, ma del resto siamo abituati a ibridazioni e commistione di generi e filoni, anche letterari, quindi non dovrebbe sorprenderci.
Se c'è una cosa che ho sempre apprezzato del passaggio di consegne, simbolico ma fino a un certo punto, è il rispetto dei nuovi Fire Emblem nei confronti dei giochi del passato: la distanza temporale non ha intaccato, a mio parere, la bellezza sgargiante di un vero e proprio libro giocabile, con le sue leggende e una mitologia in definire, quella scintilla, come dicevo prima, scaturita dallo schiocco di dita di Kaza.
Curiosità, o fun fact come piace dire oggi: in Giappone, i personaggi della serie sono amatissimi, oppure odiatissimi a seconda dei casi, e spesso sono stati protagonisti di sondaggi di popolarità.
Nulla di nuovo, direte voi, ma il fatto è che le votazioni hanno avuto ripercussioni importanti sul futuro di questi personaggi, perché anche in base all'indice di gradimento ottenuto, i programmatori avrebbero stabilito se e quando sarebbero tornati in futuro in altri capitoli della serie!
Un'altra caratteristica fondante della serie, che ha avuto il suo massimo splendore nelle versioni per Game Boy Advance e che sta finalmente tornando in auge, è l'aspetto dating sim, derivato direttamente dai simulatori d'appuntamento che nella terra del Sol Levante, ma non solo, spopolano da generazioni: potremo quindi sbloccare, grazie a dialoghi e situazioni di gioco, interessi amorosi ai nostri personaggi, dinamica che sicuramente abbraccia un bacino di giocatori e giocatrici più ampio e fa felici coloro che vogliono imprimere un'impronta ancora più profonda alla propria campagna di gioco.
[In Fire Emblem possono nascere delle vere e prorie storie d'amore tra i personaggi in base a quanto interagiscono tra di loro e come comunicano]
Questa meccanica di gioco, ispirata alle visual novel giapponesi, prende spunto soprattutto da Tokimeki Memorial, leggendaria saga della Konami che rappresenta per i dating sim ciò che Fire Emblem, appunto, simboleggia per i giochi di ruolo a turni.
Fire Emblem, inizialmente di nicchia, ha saputo farsi amare con il tempo e la passione di chi crede, ancora, nel media videogioco.
Pro
Trama matura costruita intorno a meccaniche di gioco dal sapore classico
Comparto grafico suggestivo
Connessione profonda tra giocatori e personaggi: la morte di quest'ultimi è definitiva e vi spronerà a impegnarvi di più per farli sopravvivere
Contro
Alcuni livelli vi faranno imprecare dall'inizio alla fine. Sì, le risorse non sono infinite
Il Giapponese può essere uno scoglio
Difficoltà non sempre calibrata alla perfezione
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
Simon Larocca
Scrittore e socio di Retroedicola Video Club
Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.
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